Economia

La destra approva lo spacca Italia

02/05/2024

Vai alla pagina dei comunicati

Vai alla pagina dei video degli interventi in Aula

 

 

L’Autonomia differenziata è legge

I cosiddetti patrioti distruggono la patria

 

Il disegno di legge d'iniziativa governativa sull'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, è stato approvato dal Senato nella seduta del 23 gennaio 2024 e dalla Camera dei deputati il 19 giugno.

Il Gruppo del Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ha votato in modo fermamente contrario.

È questa una riforma che aumenta le diseguaglianze, che nel nostro Paese hanno raggiunto livelli non più accettabili.

In nome di un patto politico scellerato tra Riforme dell’Autonomia e del Premierato, la destra, dopo aver calpestato le regole parlamentari, decide di spaccare il Paese.

Una riforma sbagliata, secessionista che romperà l'unità nazionale, distruggendo la coesione e la solidarietà nei diritti e nelle opportunità di vita, come garantito dalla Carta.

È una riforma che aumenta irreparabilmente le diseguaglianze esistenti nei servizi essenziali, mettendo a rischio anche la competitività dell’intero Paese, diviso in tanti piccoli staterelli.

Il tema non è determinare i livelli essenziali delle prestazioni, il tema è garantirli.

Questa legge non conviene al Nord e non conviene al Sud.

Come sarà possibile far competere il nostro Paese nel mondo con venti politiche energetiche differenti mettendo a rischio la sicurezzadel Paese, per non parlare di quello che accadrà al nostro sistema sanitario nazionale.

I cosiddetti patrioti stanno distruggendo la Patria. Qui qualcuno non vuole l'autonomia, qui qualcuno ha voglia di secessione.

Per queste ragioni abbiamo votato contro, e non certo per motivi pregiudiziali o ideologici, perché il centrosinistra e la sinistra italiana nel corso della loro storia si sono sempre riconosciuti nel principio delle autonomie territoriali.

La nostra contrarietà inizia già dal metodo che governo e maggioranza hanno voluto imporre. Non che sia una novità, ma resta il fatto che nonostante si tratti di una riforma di grande rilevanza rispetto all’intero assetto del Paese, non si è ritenuto di coinvolgere o anche solo di ascoltare le opposizioni, prima in Senato e successivamente durante le fasi di dibattimento nella Commissione I Affari costituzionali della Camera. Durante i lavori di quest'ultima, nonostante la nostra disponibilità non è stato possibile nemmeno discutere gli emendamenti presentati, sebbene non ci fossero scadenze dal punto di visto normativo: sugli oltre 2.300 emendamenti depositati, ne sono discussi e votati poco meno di 70, pari ad appena il 3 per cento.

Nel merito, le ragioni della nostra contrarietà risiedono in alcuni punti precisi:

  • Per prima cosa il ruolo del Parlamento, perché con questo provvedimento si continua a mortificare e delegittimare la funzione legislativa, dato che le assemblee legislative vengono relegate e mere spettatrici delle future intese tra Governo e Regioni. La procedura prevista, infatti, centralizza tutti i poteri nella figura del Presidente del Consiglio, che avvia il negoziato tra Stato e Regioni, ne detta i limiti, predispone l'Intesa, può non tenere conto dell'indirizzo delle Commissioni parlamentari e con Dpcm può aggiornare l'Intesa stessa.
  • Il secondo aspetto critico riguarda i LEP, i “Livelli essenziali di prestazioni”, che di fatto non sono stati definiti, non essendoci stata la distinzione tra le materie a loro sottoposte per le quali devono essere previsti spostamenti di risorse e quelle non direttamente ascrivibili a tale fattispecie. È stato osservato a più riprese, nel corso delle audizioni, che la loro non definizione in termini concreti e soprattutto il mancato vaglio degli effetti finanziari sul bilancio generale dello Stato ledono i principi di eguaglianza e perequazione previsti dalla Costituzione. Come ha sottolineato nella sua dichiarazione di voto finale la Segretaria del Pd Elly Schleinsenza definire e finanziare i Livelli essenziali delle prestazioni, non si chiama autonomia, ma si chiama secessione. La qualità dei servizi va garantita a tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale, senza differenze tra Nord, Centro e Sud. Non accettiamo l'idea che il tuo destino sia segnato per sempre dal luogo e dalla famiglia in cui nasci”.
  • Un terzo e grave sbaglio, poi, è stato quello di intervenire utilizzando non un atto di rango costituzionale, approvato ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione, ma lo strumento della legge ordinaria, che potrà sempre essere modificata o abrogata da qualunque altra norma successiva, compresa la legge di approvazione delle intese, vanificando ogni disposizione contenuta in questo provvedimento.
  • Un quarto e decisivo punto alla base della nostra contrarietà è il crearsi, come da più parti è stato messo in evidenza, di una sorta di regionalismo competitivo e asimmetrico, con l’enorme ampiezza quantitativa e qualitativa delle materie oggetto di autonomia differenziata a rischiare di trasformare lo Stato in un Arlecchino incapace di svolgere le proprie funzioni. Il provvedimento, inoltre, è ispirato ad una sorta di contratto privato tra Stato e Regione che emargina le altre Regioni e le stesse Camere.
  • La quinta critica ha a che fare con l’accentramento esecutivo delle funzioni legislative: tutti i poteri decisionali sono accentrati negli esecutivi nazionali e regionali, marginalizzando i cittadini ed esautorando di fatto ogni funzione delle rispettive assemblee legislative, sia regionali che nazionali.
  • Altro punto nodale, il sesto, è che la Sanità rischia di essere più diseguale di quanto già non sia oggi. A distanza di vent'anni dall'applicazione del Titolo V sono evidenti, infatti, i risultati di un processo di regionalizzazione del sistema sanitario che ha fatto emergere quanto il Paese soffra di profonde distanze socioeconomiche tra realtà territoriali differenti, con divari strutturali tra Nord e Sud, tra spazi urbani e aree interne. Questo provvedimento peggiorerà una situazione già fortemente compromessa, perché ad oggi non sono stati ancora garantiti i LEA, i Livelli essenziali di assistenza; perché non viene individuata una soluzione per riallineare le diverse aspettative di vita, che già oggi determinano, ad esempio, una maggiore mortalità infantile nelle Regioni meridionali rispetto a quelle del Nord del Paese; perché non c’è alcuna analisi dell'impatto sociale di questo progetto; perché con la regionalizzazione forzata del sistema sanitario adottata senza una perequazione preventiva dei livelli di “uguale” prestazione sarebbe ulteriormente incentivata la mobilità Sud-Nord, peraltro accrescendo oltre modo il sovraffollamento del sistema sanitario delle Regioni riceventi e penalizzando gli stessi residenti; perché ci si pone in chiaro contrasto con gli obiettivi di riequilibrio territoriale previsti dallo stesso PNRR, in quanto non prevede l’investimento dei fondi ottenuti nella perequazione tra territori.
  • Settimo punto estremamente critico: anche l’Istruzione, costituzionalmente competenza esclusiva dello Stato, rischia di subire le stesse difficoltà della Sanità e di essere parcellizzata. Il Paese corre il pericolo di ritrovarsi, potenzialmente, con venti sistemi scolastici diversi, che finirebbero irrimediabilmente per spaccare la nostra unità culturale e identitaria. La regionalizzazione della scuola rischia di minare alla radice le basi del diritto allo studio, senza considerare il fatto che lo status giuridico del personale scolastico non può che essere di competenza statale ed essere regolamentato in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
  • Infine, va sottolineata, come ottava forte perplessità, l’incongruenza finanziaria di un provvedimento che si dichiara privo di costi per le finanze dello Stato: una invariabilità di spesa basata sul presupposto che le spese future saranno coperte dalle stesse disponibilità delle singole Regioni. Con un nuovo processo ordinamentale che non tiene in considerazione e non prevede alcun meccanismo di trasferimento perequativo e solidaristico verso le Regioni più povere del Paese. Non è difficile prevedere che non aver voluto subordinare le future Intese alla determinazione e al finanziamento preventivo dei LEP con ogni probabilità accrescerà i divari territoriali, al punto tale che ci saranno Regioni in grado di garantire servizi e quindi diritti, mentre altre che non avendo le risorse adeguate per ragioni storiche, strutturali, demografiche e sociali, vivranno l’inesorabile discriminazione di un provvedimento chiaramente rivolto verso la tutela e l'accrescimento degli standard qualitativi di una sola parte del Paese.

 

Dossier

Interventi in aula